Dire no al metanodotto e sì ai depositi costieri è uno specchietto per le allodole. Alla Sardegna serve un nuovo corso energetico e una politica capace
No al metanodotto, sì ai depositi costieri: è questa la posizione che accomuna le principali forze politiche impegnate nelle elezioni sarde (con l’eccezione del centrosinistra, che dice sì ad entrambi, attestandosi su una posizione retrograda che non stupisce). Tratto comune a tutti è dunque un appiattimento generale sul metano che rivela una carenza di visione.
La politica parla della dorsale sarda, ma ignora i fondamentali. Il progetto del metanodotto è, infatti, attualmente sotto Valutazione d’impatto ambientale presso il ministero dell’Ambiente guidato dal generale Sergio Costa, personalità di valore fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, che si dice contrario all’opera. Ragion per cui le parole stanno a zero: il M5s può dare il necessario impulso politico affinché il procedimento venga archiviato. Lo faccia, se davvero ritiene che il metanodotto non sia accettabile.
Dire no al metanodotto e sì ai depositi costieri è il classico
specchietto per le allodole. In questo modo si perpetua la nostra
dipendenza dai fossili, proprio mentre il global warming ci impone di
abbandonare il carbone, l’olio combustibile e il gas. Altre criticità
riguardano gli elevati costi del GNL distribuito attraverso queste
strutture. I candidati alla presidenza s’informino: scopriranno che
l’energia (sia termica che elettrica) generata dalle rinnovabili è
sempre più conveniente di quella ottenuta col gas.
Nessuno lo dice,
ma la Sardegna sta contraendo una nuova servitù: la capacità di
movimentazione di gas dei depositi già approvati e di quelli formalmente
proposti (ma non ancora autorizzati) è, infatti, di gran lunga
superiore al presunto fabbisogno dell’Isola.
Esistono, dunque,
buone ragioni per bloccare queste opere. Anziché parlare di depositi
tarati sulle esigenze dei sardi (ignorando il fatto che queste strutture
sono già in fase avanzata), chi è al governo produca l’analisi-costi
benefici promessa e agisca di conseguenza. Una seria analisi non può che
dimostrare quanto poco convenga il GNL.
Chi, invece, si pone in
un’ottica anti-colonialista non ceda alle sirene del rivendicazionismo,
dicendo sì a tali strutture (come invece è accaduto).
Tutti gli
aspiranti presidenti sembrano favorevoli alle reti cittadine del gas e
disposti, dunque, a ritardare l’elettrificazione dei consumi attraverso
le rinnovabili sostenibili. La beffa è che sarà proprio la Sardegna, con
l’energia esportata oltremare, a supportare l’elettrificazione altrui. E
a noi non resteranno che emissioni nocive e migliaia di ettari di terra
sacrificati nel nome della produzione energetica conto terzi.
Il
recente ingresso in campo di Italgas nella partita delle reti del gas
rivela le reali intenzioni del governo. I principali azionisti della
società sono, infatti, Cassa Depositi e Prestiti (26,05%) e SNAM
(13,5%), la società che ha proposto il metanodotto (di cui è azionista
CdP).
Accetteranno i sardi di essere gabbati un’altra volta ancora?
Perché, invece, non rimodulare i fondi previsti per le reti cittadine a
favore di un nuovo corso energetico?
Un nuovo corso energetico che abbia i suoi cuori pulsanti nella riduzione dei consumi, nella generazione distribuita e nell’accumulo dell’energia termica generata dalle fonti rinnovabili sostenibili. E i suoi polmoni nelle dighe turbinate (finora sottoutilizzate) di cui noi sardi dobbiamo riappropriarci per bilanciare le naturali fluttuazioni associate alle rinnovabili e per l’accumulo di energia elettrica. Le sue braccia nelle tante persone a cui una simile politica potrebbe dare lavoro, il cervello nella ricerca. Anche l’industria – quella sostenibile – potrebbe avvantaggiarsi del nuovo corso, ottenendo calore ed elettricità a basso costo.
Infine, appare preoccupante l’attuale dibattito
sul carbone: è quantomeno autolesionista chiedere di continuare a
bruciarlo oltre il 2025 per salvare un’industria decotta che concepisce
la Sardegna come una discarica di rifiuti a cielo aperto. Questa
strategia è ingenerosa nei confronti degli stessi operai, che hanno
diritto ad un’occupazione che garantisca la loro e l’altrui salute. C’è
poi chi chiede il gas al posto del carbone, ignorando che le centrali a
gas possono essere sostituite dai sistemi di accumulo, come precisato
dalla stessa SEN. Insomma, c’è chi fa la punta di diamante della
retroguardia (praticamente tutto l’arco politico del Consiglio
regionale, con Pd e Pigliaru in testa) e chi è retroguardia tout court
(M5s).
In entrambi i casi, si tratta di posizioni antistoriche,
soprattutto oggi che la dismissione degli impianti da fonti fossili
rappresenta un atto necessario anche sul piano tecnico: nei prossimi
anni, la nostra rete risulterà sovralimentata per effetto dell’attesa
riduzione dei consumi.
Procedere per sottrazione diventa dunque una
necessità. Ma in questo modo l’export dell’energia dalla Sardegna
diminuirebbe e una servitù s’interromperebbe.
Ecco perché, in caso
di abbandono del carbone, la SEN prevede la realizzazione di un nuovo
elettrodotto Sardegna- Continente. Che faranno il PSdAz e la Lega, che
vuole il carbone, il gas, immaginiamo anche le rinnovabili e, perché no,
un nuovo elettrodotto visto che si deve dire sì alle grandi opere per
partito preso?
Il nuovo elettrodotto è concepito per esportare
sempre più energia dalla Sardegna e attenuare l’elevato prezzo zonale
della Sicilia. Un’ipotesi da rispedire al mittente senza se e senza ma!
Al contrario, dovremmo pretendere un maggiore utilizzo in senso inverso
del cavo Sapei (impiegato per esportare l’energia dalla Sardegna). Ma è
chiaro che opporsi al programma di metanizzazione o al nuovo
elettrodotto e formulare simili proposte è per i nostri candidati un
azzardo troppo grande. Tanto vale, allora, dire che il futuro presidente
della Regione sarà un Commissario provinciale che fa le veci di un
presidente che non può esserci. A maggior ragione se la politica tace o
parla pour parler.
Tutti i sardi hanno il dovere morale di
approfondire questi argomenti, formarsi un’idea e opporsi a simili
progetti: in gioco c’è il futuro della nostra terra!
Ancora una volta la Sardegna è chiamata ad alzare la testa e dire no!